a cura di: Luigi Pascalis, Paolo Emilio Manconi, Alfonso Dessì, Giuseppe Santeufemia

L’invecchiamento della popolazione è un fenomeno globale. Per la World Health Organization (WHO), in quasi tutti i paesi del mondo la proporzione di persone con più di 60 anni sta aumentando più velocemente rispetto alle altre fasce di età. Si stima che nel 2050 le persone con più di 60 anni saranno quasi 2 miliardi (oltre al triplo rispetto al 2005) e rappresenteranno circa un quarto (22%) della popolazione mondiale.

Dott. Luigi Pascalis

La speranza di vita ha subito un aumento molto marcato nell’ultimo secolo

In Italia l’aspettativa di vita alla nascita è di 80 anni

Questa evoluzione si traduce anche in un aumento dell’aspettativa di vita “in buona salute” o senza disabilità per le persone anziane. Da secoli la popolazione anziana sta diventando sempre più numerosa, ciò che rappresenta un fatto nuovo, è la rapidità di crescita. La speranza di vita ha subito un aumento molto marcato nell’ultimo secolo per diversi fattori, in Italia l’aspettativa di vita alla nascita è di 80 anni. Per quanto riguarda la mortalità, le cause di morte sono radicalmente cambiate nel corso dell’ultimo secolo. Le due principali cause di morte sono le malattie cardiovascolari e i tumori maligni. Le malattie ipertensive sono sempre più frequenti nelle donne, le ischemie negli uomini;demenze e polmoniti prevalgono al Nord e diabete al Sud. Le malattie croniche hanno sostituito quelle acute come problema dominante per la salute, consumando il 78% dell’intera spesa sanitaria. La popolazione con più di 65 anni ha assorbito il 60% della spesa complessiva e oltre il 65% delle DDD totali (la DDD è definita come la dose media di un farmaco assunta giornalmente da un paziente adulto, con riferimento all’indicazione terapeutica principale del farmaco stesso. La DDD, quindi, rappresenta la dose di mantenimento della terapia e non la dose iniziale). In termini di consumo, un individuo con più di 65 anni ha consumato ogni giorno in media 2,7 dosi unitarie di medicinali e, mentre nella fascia di età superiore con più di 74 anni, le dosi unitarie di medicinali diventano 3,7.

Le malattie senili più frequenti sono:

Il diabete mellito, l’arteriosclerosi, l’infarto del miocardio, l’osteoporosi, le patologie neurologiche, le malattie respiratorie, il cancro, i disordini del sonno, la perdita dell’udito, la degenerazione maculare legata all’età, l’osteoartrite, l’insufficienza cardiaca. La comorbilità è definita come la presenza concomitante di 2 o più malattienello stesso soggetto ed è una caratteristica clinica dell’anziano (il primo ad utilizzare e definire il termine co- morbidity – poi univerbato in comorbidity – è stato l’epidemiologo americano Alvan R. Fenstein in un articolo pubblicato nel 1970), è legata alla durata maggiore dell’ospedalizzazione, alla ri-ospedalizzazione dei  pazienti a breve e lungo termine, alla comparsa di complicanze ed alla scarsa qualità della vita del paziente anziano.

La comorbilità incrementa il rischio di mortalità e di disabilità ben oltre a quello osservabile in una singola specifica malattia. Negli anziani, ciò che si osserva sempre più frequentemente è la presenza di poli-patologie degenerative che costringono questi Pazienti a consulenze pluri-specialistiche di vario tipo, con cadenze tali da rendere necessario un monitoraggio di una condizione clinica, peraltro, destinata a modificarsi con grande facilità e frequenza. Può così capitare di vedere scompensata, anche gravemente, una componente patologica, per motivi che, spesso, possono essere anche banali. La definizione di Paziente complesso con malattie croniche multiple (multiple cronic conditions, MCC), adottata dalla’Agency for Healthcare Research and Quality, si riferisce ad una persona con due o più malattie croniche, in cui ciascuna di queste condizioni mediche può influenzare l’esito dei trattamenti di altre patologie concomitanti. In questo tipo di Pazienti, l’aspetto più importante è quello, quindi, di una corretta coordinazione tra i vari specialisti chiamati in causa: il cardiologo, il neurologo, l’oncologo, il nefrologo, l’ematologo, e la decisione, quando si rendesse necessaria, di cosa fare tra un controllo specialistico e l’altro. Questo compito non può essere svolto che dal “Medico di Medicina Generale”, che dovrà “accompagnare” questo Paziente, appunto, tra un controllo specialistico e l’altro, per modificare, all’occorrenza, questo o quel protocollo terapeutico, quando dovesse rendersi necessario, per mantenere quella condizione clinica, spesso molto precaria. Tutto ciò ad evitare complicanze e consentire un sempre maggiore “allungamento della vecchiaia”, nelle condizioni migliori, per la qualità della vita di questi “nuovi anziani”. Questo discorso porta inevitabilmente alla necessità, da parte del Medico di Medicina Generale di sapersi confrontare con questa nuova situazione, perché, soltanto così, si eviterà un sempre più frequente ricorso, da parte di questi Pazienti, alle cure ospedaliere, intasando, così, i nosocomi del nostro paese. A riguardo mi sembra opportuno ricordare a tutti quelli che si ispirano al “Sistema Sanitario Inglese”, che “dalla culla alla tomba “ è il motto e la forza della Medicina Generale del NHS (National Health Service – il Sistema Sanitario Nazionale), accreditato da molti come il miglior Sistema Sanitario del mondo. Questo compito, quindi, è affidato a mani sicure perché i “Medici di Famiglia” sono perfettamente in grado di garantire le cure a tutta la popolazione italiana, e, quindi, anche a questa fascia di età così bisognosa di aiuto.

Sostenibilità del SSN

La sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale (e Regionale) è messa in crisi sostanzialmente dal cambiamento demografico, con l’aumento dell’aspettativa di vita, dall’elevato incremento di anziani disabili, con relative fragilità sia individuali sia sociali, dal cambiamento epidemiologico, con l’aumento dei malati affetti da comorbilità, dalle attese verso la personalizzazione delle cure e dal problema dei costi delle nuove bio- tecnologie. Va inoltre tenuto presente che il settore sanitario sta vivendo un periodo di grande trasformazione, con la riorganizzazione di una assistenza ospedaliera centrata sulle acuzie e della sanità territoriale e con la presa in carico di pazienti che necessitano di assistenza domiciliare ad elevata intensità. L’Italia, come tutti i Paesi europei aderenti all’Organizzazione Mondiale della Sanità, si trova impegnata ad affrontare le principali sfide sanitarie in un contesto di cambiamento demografico ed epidemiologico, di disparità socio-economiche che si ampliano, di risorse limitate, di sviluppo tecnologico e di aspettative crescenti. Se da una parte i progressi della medicina assicurano una maggiore sopravvivenza, dall’altra parte cresce la consistenza della fascia di soggetti che richiedono cure continuative e complesse per periodi di lunga durata se non per il resto della vita, ovvero, cresce il bisogno assistenziale. Con l’invecchiamento della popolazione aumentano in modo proporzionale multimorbilità, politerapia, utilizzo delle risorse sanitarie e costi sociali ed economici determinando una importante pressione sui Sistemi Sanitari Nazionali.

Prof. Paolo Emilio Manconi

Si dice che negli ultimi decenni la vecchiaia sia molto cambiata

L’approccio sanitario è perciò sempre più spesso preventivo e complesso

Io ho 70 anni. Qualche settimana fa sono stato investito da un’auto mentre percorrevo con la mia Ducati 696 rossa il Viale Monastir. Ho avuto una frattura scomposta di due coste e del pollice sinistro. Due ore dopo ho guidato fino a Oristano. Non mi sento ancora vecchio. 

Mio padre a 70 anni aveva già avuto una rottura di aneurisma dell’aorta addominale (fortunosamente salvato con intervento chirurgico d’urgenza), un infarto del miocardio, un modesto ictus trombotico. E’ morto a 76 anni per un altro ictus. Io spero di durare in buona salute molto più di quanto è durato lui. Faccio un po’ di sport, qualche attenzione con la dieta, ogni tanto un controllo clinico, ma niente di più. Soprattutto non fumo da circa 30 anni. Negli ultimi 30 anni la vita media si è allungata progressivamente di 10 anni, ma soprattutto si è modificata l’età di inizio della vecchiaia. Non mi “sento” ancora vecchio, e i miei colleghi di Università sembrano quasi tutti “giovanotti avanzati”, quasi tutti ancora lavorano, d’altronde come me. Qualcuno fa ancora qualche mezza maratona.Molti stati ne hanno profittato per spostare in avanti anche l’età della pensione. I motivi di questo spostamento in avanti non sono del tutto chiari, ma il ruolo della medicina penso non sia irrilevante, basti pensare agli antibiotici, ai vaccini, alla guerra al tabacco, alle raccomandazioni dietetiche, alla terapia per il diabete e l’ipertensione. I medici di oggi si attrezzano per curare l’anziano con i mezzi disponibili, curando gli aspetti di prevenzione e seguendo le indicazioni derivanti dalla ricerca scientifica. La geriatria nasce come una costola della medicina interna, di cui condivide la visione della complessità, del nostro organismo visto come un sistema integrato, in cui un singolo problema coinvolge una multitudine di altri sistemi.

Anche il sistema immunitario invecchia?

Gli immunologi hanno da tempo individuato l’immunosenescenza: l’apparato cognitivo del sistema immunitario invecchia in sincronia con il sistema nervoso e l’apparato circolatorio. La diminuita funzione del sistema immunitario dipende soprattutto dalla progressiva atrofia del timo, una struttura posta nella parte anteriore del torace, da cui nascono la maggioranza delle cellule del sistema immunitario, e che funziona un poco come “centro di comando”. L’invecchiamento comporta una maggiore suscettibilità alle infezioni, rende meno efficace la “sorveglianza” nei confronti delle neoplasie. Anche gli strumenti per debellare questi nemici diventano meno potenti. Le neoplasie degli anziani spesso riguardano anche lo stesso sistema immunitario, con linfomi e leucemie.

Molti anziani hanno paura della demenza

Il cervello invecchia talvolta più velocemente del resto del corpo. La malattia di Alzheimer veniva chiamata fino a qualche decennio fa “demenza presenile”. Oggi sappiamo che ha dei meccanismi distinti da quelli dell’invecchiamento degli altri tessuti, ma comunque si presenta più tardi di quanto avvenisse nei secoli scorsi. Il deterioramento senile del sistema nervoso appare fortemente connesso con lo stress, con la solitudine,la perdita degli affetti, con la mancanza di attività mentali soddisfacenti. Il medico non dispone oggi di strumenti efficaci per rallentare l’invecchiamento cerebrale, e spesso supplisce somministrando dosi eccessive di sedativi che talvolta peggiorano il quadro, o “integratori” completamente privi di efficacia, inutili e costosi.

Spesso il decadimento del vecchio riguarda un poco tutto l’organismo

L’anziano si ammala spesso e contemporaneamente di diabete, di ipertensione arteriosa, di scompenso cardiaco, di insufficienza respiratoria. L’approccio “internistico” alla cura deve tenere conto delle complesse interazioni tra farmaci, evitando che “il rimedio sia peggio del male”. Spesso troppi farmaci alla rinfusa, senza una accurata scelta che tenga conto delle interazioni tra le diverse terapie.

Sono utili i così detti “check up”?

Credo sia molto più utile un rapporto abbastanza frequente e ben organizzato con il Medico di fiducia, che conosce bene la storia clinica ed è in grado di programmare i diversi controlli necessari man mano che ne ravvisa la necessità. Se ciò non viene fatto, come può succedere per diversi motivi, ci si può affidare ad un geriatra o un internista che saprà programmare una serie di controlli ben mirati e non lasciati al caso o alle “mode”. Un buon rapporto col Medico di fiducia inoltre allontana la necessità di ricoveri ospedalieri.

Concludendo, cosa può fare la medicina per i “nuovi vecchi”?

La fase di passaggio verso la vecchiaia è cer- tamente delicata, sia dal punto di vista fisico che mentale. Per gestire il passaggio penso sia opportuna una buona alleanza tra “paziente” e medico di fiducia che sappia tenere conto della complessità dei problemi e non si limiti a dare un farmaco per il singolo problema senza tenere conto di tutto il resto.

Dott. Alfonso Dessì

L’ipertensione arteriosa è il fattore di rischio dell’apparato cardiovascolare più diffuso nei paesi occidentali

Si stima che la popolazione italiana ne sia colpita al 20 per cento del suo totale, con punte superiori al 50 per cento negli over 65

Viene chiamata “l’assassino silenzioso” perché può decorrere silente per molti anni e manifestarsi improvvisamente con un evento acuto a livello cerebrale, cardiaco, renale o vascolare periferico. La lotta all’ipertensione è stata condotta con grande impegno soprattutto dalla fine degli anni 60, quando fu pubblicato lo studio della Veterans Administration che evidenziò che la riduzione della pressione arteriosa aveva degli effetti clamorosi in termini di riduzione degli eventi cardiovascolari. Tutti gli studi che si sono succeduti in questi anni hanno confermato questi risultati evidenziando inoltre che la cosa più importante è ridurre la pressione quale che sia il farmaco usato. Attualmente disponiamo di 7 classi di farmaci, tutti efficaci nel trattamento dell’ipertensione arteriosa. Si tratta dei diuretici, i beta bloccanti, i Ca antagonisti, gli ACE inibitori, gli antagonisti del recettore dell’Angiotensina II (sartani), gli antagonisti della renina e gli alfa litici a livello centrale e periferico. Nella maggior parte dei pazienti questi farmaci devono essere usati in associazione fra loro perché così se ne potenzia l’effetto e si riducono gli eventuali effetti collaterali. Gli studi fin qui condotti hanno concluso che i valori pressori di normalità devono essere inferiori a 140 per la sistolica e 90 per la diastolica e che la pressione ottimale è quella inferiore a 140/90 ben tollerata dal paziente, con l’eccezione del diabete mellito dove si auspica comunque un pressione inferiore a 140/85. Non tutti sono d’accordo su questi valori. Le ultime linee guida sull’ipertensione ritengono dannoso il raggiungimento di valori pressori sotto i 130/80 e, nei pazienti ultra ottantenni, ritengono accettabili valori di sistolica inferiori a 150. Nonostante la mole di dati sulla pericolosità della ipertensione arteriosa e l’enorme numero di farmaci a nostra disposizione questo è il peggio controllato fra i fattori di rischio dell’apparato cardiovascolare. Da uno studio americano risultava che nel 1971 solo il 65% dei pazienti sapeva di avere la pressione alta, di questi solo il 49% era in trattamento e solo il 21% aveva valori pressori normali. Intorno al 1990 la consapevolezza era salita all’80%, i trattati al 70% e i normalizzati al 50%. I dati attuali non differiscono di molto, questo genera, specie nei pazienti over 65 un’incidenza notevole di eventi cardiovascolari spesso catastrofici.

Quale è il motivo di tale situazione?

Come sempre i motivi sono tanti e non vanno ascritti ad una sola delle categorie in gioco. Purtroppo, dopo tanti anni di impegno devo constatare che i pazienti sono in gran parte responsabili del cattivo controllo della pressione perchè non rispettano la posologia dei farmaci, non controllano regolarmente la pressione, non tengono uno stile di vita corretto. Medici dal canto loro dovrebbero essere più incisivi nel coinvolgere i loro pazienti nella gestione di questa patologia, insistendo soprattutto sul fatto che sentirsi bene non vuol dire che la pressione sia normale. E questo dovrebbe valere molto di più nei pazienti over 65 che, essendo più fragili per l’avanzare degli anni e per comorbilità spesso presenti, sono più esposti alle complicanze. Ricordatevi, l’assassino silenzioso è sempre in agguato.

Dott. Giuseppe Santeufemia

L’atrofia vulvo-vaginale in menopausa

Laser anziché terapia ormonale

La menopausa è un momento importante nella vita di ogni donna, accompagnato da cambiamenti fisiologici che non devono essere vissuti come disturbi ineludibili.L’atrofia vaginale è, un problema comune, che si manifesta con bruciore, secchezza, prurito vaginale, irritazione e dolore durante il rapporto sessuale (dispareunia). Alla base dei sintomi e dei disagi c’è il calo di estrogeni, che si riscontra dopo la menopausa (fisiologica, indotta chirurgicamente o conseguente a terapie antitumorali). Questi sintomi, che con il tempo tendono ad acuirsi, hanno ripercussioni sulla vita sessuale già in parte compromessa dalla riduzione della libido, legata alla carenza ormonale e possono causare profonde alterazioni nei rapporti di coppia e nella qualità della vita. La terapia ormonale sostitutiva in postmenopausa rappresenta un presidio fondamentale per risolvere questi problemi. Tuttavia molte donne non accettano il trattamento ormonale e purtroppo alcune presentano controindicazioni assolute a qualsiasi trattamento ormonale, anche locale (donne in terapia per tumori alla mammella). Affrontare il problema e alleviarne la portata negativa è possibile attraverso il ricorso al laser, esso consente un nuovo trattamento non ormonale finalizzato a migliorare lo stato delle strutture vaginali ed è indicato e sicuro anche nelle donne operate per tumori ormono-dipendenti. Non si tratta di chirurgia estetica, ma di un trattamento che porta a un recupero della funzione vaginale perduta a causa della carenza ormonale e dell’invecchiamento dei tessuti.

L’atrofia vaginale rappresenta attualmente, una delle maggiori indicazioni per il ricorso al laser vaginale

Il Laser Erbium offre oggi una opportunità terapeutica unica per il ripristino funzionale della vagina in particolare per chi non vuole o non può affidarsi alla terapia ormonale. L’azione del laser è una procedura ambulatoriale, sicura ed indolore. Il trattamento affronta il problema senza ricorrere a farmaci e agisce sui meccanismi che portano alla atrofia vaginale, eliminando prurito, irritazione e i dolori durante il rapporto sessuale. Il laser, applicato con una sonda direttamente in vagina, determina uno stimolo termico che ristabilisce una appropriata irrorazione ematica che – a sua volta – stimola la produzione e il rimodellamento del collagene. Migliora lo stato della mucosa, ne aumenta il turgore grazie ad una maggiore idratazione e trasudazione vaginale. L’apparecchio dedicato a questa applicazione è uno strumento specifico (Er:YAG laser) non ablativo, che non provoca tagli o lesioni e che è stato studiato, realizzato ed ampiamente sperimentato proprio per questa indicazione. Il laser emette una luce infrarossa che non penetra profondamente nei tessuti, essendo completamente assorbita dall’acqua contenuta negli strati più superficiali. La procedura laser viene eseguita in ambulatorio, non prevede anestesia essendo del tutto indolore e non necessita di incisioni o punti di sutura. La durata del trattamento è di circa 40 minuti. I risultati sono evidenti già dopo la prima seduta anche se abitualmente il trattamento completo richiede 2-3 sedute a distanza di circa 30 giorni. La quasi totalità (96%) delle donne trattate riferisce un effettivo miglioramento della qualità della vita e dei rapporti sessuali. Gli effetti collaterali e i rischi per le pazienti sono minimi: solo il 10% delle donne riferisce effetti collaterali transitori: leggeri arrossamenti, piccoli fastidi non allarmanti immediatamente successivi alla seduta, fastidi che solitamente si risolvono spontaneamente in una giornata o con l’applicazione di creme lenitive. Dopo il trattamento è consigliato per qualche giorno evitare i rapporti, il bagno caldo in vasca e l’esercizio fisico intenso.