Prof. Gian Benedetto Melis

Ordinario di Ginecologia e Ostetricia • Direttore Dipartimento Chirurgico dell’università di Cagliari • Direttore dipartimento assistenziale integrato azienda ospedaliera universitaria, materno-infantile. Carriera universitaria maturata tra Pisa e Cagliari, ha seguito numerosi stage di specializzazione e formazione in Usa, Canada, Inghilterra, Francia. Direttore della Clinica ostetrica da 25 anni, con millecinquecento / milleottocento parti annui, il Professor Melis ha seguito la nascita di oltre 40mila bambini.
Trent’anni di ginecologia d’autore
Cagliari e la Sardegna in cima al mondo grazie allo staff guidato da Gian Benedetto Melis. Ricerca, attenzione per una sanità a misura di donna, innovazioni e percorsi scientifici che hanno guadagnato le attenzioni delle accademie internazionali
Un filo verde che unisce ricerca, intuito, dedizione e senso etico. Medicina, e in particolare ginecologia e ostetricia, che abbatte frontiere e ostacoli. Da Cagliari, prima al san Giovanni di poi, poi al Policlinico universitario “Duilio Casula” a Monserrato, in cima al mondo. Con stima, citazioni, reputazione e accreditamenti in continua crescita. La storia dei trent’anni di professione di Gian Benedetto Melis naviga grosso modo su queste frequenze. L’accademia e i ricercatori viaggiano con curiosità e senza confini. Una delle ragioni che hanno portato gli studi del team guidato dal professore a diventare enclave d’eccellenza della ginecologia e dell’ostetricia. Medico specializzato in ginecologia e ostetricia, pioniere delle tecniche che hanno trasformato il capoluogo sardo nella culla della ricerca e della sua applicazione, lo specialista ha sempre sposato un concetto che fosse funzionale per una sanità “a misura di donna”. Dalle esperienze e dal curriculum si evince un forte interesse su tematiche all’avanguardia mondiale per clinica e assistenza. Migliaia di lavori scientifici pubblicati sulle più prestigiose riviste di settore, per un decennio ai vertici della Società europea (e italiana) di endoscopia ginecologica, il professor Melis ha firmato ricerche scientifiche, opere e strutture innovative, formato ginecologi, proposto e avviato metodiche innovative. La lista è infinita. Con alcune chicche: Cagliari è stata anche Centro di riferimento per lo studio e l’utilizzazione dei contraccettivi. Un passaggio che ha fatto balzare l’isola ai primi posti nella graduatoria europea per l’uso della pillola come metodo anticoncezionale, con percentuali paragonabili a quelle del Nord Europa. Ma un balzo in avanti da citare riguarda uno degli ambiti più delicati: la terapia farmacologica per la cura medica dei tumori e delle emorragie. Il tutto, con un obiettivo: rendere meno invasivo il trattamento e, di conseguenza, l’impatto sulla paziente. Un’esigenza che ha investito anche lo sviluppo di tecniche chirurgiche mini invasive, le cosiddette ‘chirurgie dolci’, che hanno conosciuto in Sardegna le prime applicazioni nel periodo compreso tra i primi anni ‘90 e il 2000. Un periodo in cui si affrontavano i primi interventi di laparoscopia. Gian Benedetto Melis, caposcuola e maestro di medicina. Specie se si guarda al benessere psicofisico della donna, gli interventi in laparoscopia offrono vantaggi palesi: minor dolore post operatorio, complicanze ridotte, impatto estetico con riduzione al minimo degli esiti cicatriziali, un più rapido rientro a casa e alle proprie attività, migliore qualità della vita. Ma la carriera ospedaliera del professore è costruita su più capitoli ad alto impatto. Ad esempio, l’asportazione dei tumori (benigni e in parte anche maligni), l’endometriosi, la gravidanza extrauterina sono tutti interventi che, al giorno d’oggi e grazie alla ricerca avviata dai Melis boys negli anni 90, vengono effettuati di routine con tecniche endoscopiche. Tra l’altro, Cagliari vanta un altro bel primato: nel 92 al San Giovanni di Dio i medici guidati da Gian Benedetto Melis diedero vita per primi in Italia al servizio di urgenza laparoscopica 24 ore su 24. Laparoscopia ma non solo. Al San Giovanni sono cominciati gli studi sul dolore pelvico, poi proseguiti al Policlinico. Le ricerche si sono basate in particolare sull’endometriosi. Malattia cronica, complessa e dolorosa, originata dalla presenza anomala del tessuto che riveste la parete interna dell’utero, cioè l’endometrio, in altri organi quali ovaie, tube, peritoneo, vagina, intestino. L’endometriosi, che provoca sanguinamenti interni, infiammazioni croniche e tessuto cicatriziale, aderenze e infertilità, è una delle patologie più frequenti. Non a caso, proprio in Sardegna è stato avviato uno studio multicentrico nazionale che produsse un dato sulla patologia: il 10 per cento della popolazione femminile in età fertile ne soffre. Anche per queste accelerate scientifiche la clinica ostetrico-ginecologica della facoltà di Medicina del capoluogo regionale è diventata centro di riferimento in Sardegna per l’endometriosi. Ma non solo. La metodica detta ‘taylored’ – in grado di intervenire sulle forme più gravi della malattia che può risultare e, se non curata, altamente invalidante – è un altro bel colpo. L’isteroscopia – procedimento utilizzabile per diagnosticare e trattare una condizione ginecologica – si può praticare per scoprire la causa di alcuni sintomi, individuare polipi o fibromi, indagare su eventuali problemi dell’utero, trattare le aderenze dell’endometrio. Ma anche sul fronte dello screening dei tumori della sfera genitale femminile, il Policlinico di Monserrato è l’unico centro italiano che effettua gratuitamente il test per la tipizzazione genetica delle neoplasie. L’esame identifica le mutazioni genetiche del tumore che, quando sono presenti e rivelate, tracciano anche la strada delle terapie migliori da intraprendere. Il discorso vale anche per i casi di tumori non più operabili, che possono trovare un argine con l’utilizzo di nuovi farmaci che agiscono e rallentano la mutazione genetica. Insomma, studi e ricerche ad ampio spettro. Dalle metodiche diagnostiche sempre più evolute ai trattamenti di grande efficacia, la strada è segnata. Gian Benedetto Melis ha tracciato un sentiero indelebile. Tra l’altro, anche lo screening della preeclampsia – sindrome caratterizzata dalla presenza, singola o in associazione, di segni clinici quali edema, proteinuria o ipertensione in una donna gravida – ha aperto nuovi orizzonti nel trattamento di una delle principali cause di morte della madre e del nascituro.

“Il bersaglio? La ricerca e la salute delle donne”
Gian Benedetto Melis si racconta. Una carriera con molteplici itinerari convergenti. Figura di polso e prestigio della sanità sarda e dell’Università di Cagliari, il cattedratico riannoda i fili dei trent’anni di ginecologia e ostetricia
Mario Frongia
“Un aggettivo che definisca la mia carriera?” Gian Benedetto Melis ne ha viste tante. Una leggera sistemata agli occhiali, lo sguardo che vaga e incrocia la splendida veduta sulle saline, il pensiero che ribolle. “Trentennale” dice con un filo di sorriso, a metà tra il sarcastico e un fare indagatore, dopo una attenta riflessione. Ecco, tre decenni di un percorso universitario – clinico, chirurgico e gestionale – sempre a cento all’ora. Senza pause né scorciatoie. Polso, lungimiranza, quella sana testardaggine che conduce lontano. In campo medico e non solo. Il professore mette in fila eventi, persone, luoghi. Il taglio è benevolo, la somma più che positiva. Accademia e ospedali, gestione e ricerca: proprio quest’ultima è la parola chiave. Indispensabile per inquadrare al meglio lo scienziato, pietra filosofale di un modo di fare e insegnare ginecologia. “Sì, il mio gruppo, non mi stancherò di ripeterlo, è stato da sempre votato alla ricerca”. Con il congresso internazionale alle porte, il professore sta dietro a conferme, lettere, inviti, riletture. Un mix eterogeneo che affronta con la flemma che da sempre lo contraddistingue. Forse, la stessa che lo accompagna dai primi anni da studente. O magari, dalle mattinate afose trascorse da associato a Pisa.
Professor Melis, qual è stata la svolta nei suoi trent’anni di professione?
“La riduzione della mortalità perinatale è stata una sorta di rivoluzione su fu più fronti. Nel 1990 i numeri erano da incubo, con dall’8 al 10 per mille di mortalità perinatale. Parliamo dal momento del parto ai 30 giorni successivi. Il nostro gruppo, con una serie di studi che proseguono, ha affrontato uno per uno i problemi che portavano a questi risultati, decisamente non accettabili”.
Nel resto d’Italia quali erano le percentuali?
“Diciamo che erano abbastanza simili a quelli della Sardegna, che comunque le aveva un po’ più alte. Attualmente siamo intorno al 3, 4 per mille. Di fatto, c’è stata una incredibile riduzione, parallela a quella registrata nei paesi industrializzati”.
Qual è stato il vostro ruolo nel ribaltare le stime sulla qualità della vita delle donne e dei nascituri?
“Abbiamo identificato le cause più importanti della mortalità. Ad esempio, il diabete gestazionale. La patologia nella donna sarda è ha una incidenza di 2, 3 volte superiore alle medie italiane, simile a quella del nord Europa, con la Scandinavia in testa. In quegli anni nessuno si accorgeva di questi dati, anche perché non esistevano i mezzi per fare diagnosi e screening corretto”.
Il quadro clinico della donna sarda aveva altri fattori negativi?
“Sì. Inizialmente ci ha sconvolto la presenza di fasce di povertà in alcune zone della Sardegna. Sacche di disagio in cui nessuna aveva i soldi per fare gli esami legati alla gravidanza. Inoltre, erano assenti i centri di riferimento, e quelli operativi non erano identificati come hub and spoke, modello che prevale da dieci anni”.
Insomma, avete dato una forte virata.
“La medicina moderna, associata alla tecnologia, allo screening incrementato, l’abbiamo coniugata con il criterio dell’umanizzazione e della gravidanza fisiologica. Ovvero, affrontata come tale senza una medicalizzazione esagerata che spesso ha rallentato i miglioramenti”.
C’è stato un altro passaggio da applausi?
“L’ostetricia l’abbiamo affrontata culturalmente e tecnicamente dal punto di vista sociale. Scoperte le cause del gap, dal 1990 abbiamo lavorato e quasi imposto alla regione lo screening totale alla popolazione. Il ragionamento era ed è semplice: abbiamo dimostrato che era indispensabile procedere e impostare, avendo le donne sarde un rischio maggiore, e fino al 15 per cento di quelle gravide non avevano mai fatto la diagnosi sul diabete, qualche volta neppure una glicemia”.
Al San Giovanni siete stati pionieri anche nella chirurgia. Come definisce il settore?
“Siamo andati come un treno. L’impostazione data negli anni ’90 alle attività chirurgiche è stata semplice: volevamo che la chirurgia ginecologica fosse punto partenza per tutta la chirurgia clinica comparsa negli anni Duemila. Nel ‘95 abbiamo pubblicato numerosi lavori sulla chirurgia mininvasiva e laparoscopica e qualcuno ci ha accusato di essere azzardati”.
Era vero?
“Questo tipo di chirurgia non era ancora emersa come vera chirurgia ginecologica. Noi abbiamo pubblicato i dati degli interventi sperimentali impostati e i nostri lavori sono stati tra i più citati nella letteratura internazionale. Parliamo di oltre 600 citazioni per singolo lavoro: un’enormità. Un lavoro sui fibromi del 19095 pubblicato sull’American Journal ne ha totalizzato molte di più!”
Professor Melis, ricordiamo i numeri del suo reparto?
“Fatti due conti, in 28 anni alla media di 1500 parti/anno, il mio gruppo ha seguito circa 50mila nascite. E nonostante il conclamato calo della natalità, siamo sempre in crescita tanto che nel 2017 abbiamo superato i 1.700 parti all’anno. Questi risultati mi ricordano quelli che erano comuni negli anni ’70, quando il punto nascita pubblico era unico al San Giovanni”.
Qual è la richiesta al mondo della politica?
“Con i miglioramenti della tecnologia e la medicina sociale su cui si basa il nostro sistema di controllo della salute, occorre migliorare la conoscenza dei problemi e affiancarla a un uso giusto e congruo delle risorse”.
Lei ha svolto anche vari incarichi gestionali. Perché problemi e lungaggini sono la norma?
“In ambito universitario, dal punto di vista strutturale, è stato costruito e dato tanto all’Azienda ospedaliera universitaria. Attingendo ai fondi europei è stato fatto di il padiglione Q. Nato nel 2013, nei due anni precedenti da direttore sanitario dell’Aou, supportato dagli altri direttori dell’Azienda e da politici illuminati, ho trovato e usato quei fondi senza nessuna magia. Da lì è nata quella che viene considerata la migliore clinica ostetrica italiana, non tanto come quantità visto che con i seimila parti della Mangiagalli o con la mole di lavoro e di utenza del Gemelli, non possiamo competere. Ma come specializzazione degli interventi diagnostici, terapeutici e preventivi, la completezza dei servizi, l’ospitalità, l’approccio del personale, l’umanizzazione e le attenzioni per l’innovazione, abbiamo raggiunto livelli eccellenti”.
L’ha mai sfiorata l’idea di lavorare altrove?
“Ho avuto e possiedo tuttora relazioni forti negli Stati Uniti, in Canada, in Brasile e in molti paesi europei. Diverse Università italiane hanno scelto miei allievi per dirigere la Ginecologia e Ostetricia. A un certo punto della mia carriera si sono create le condizioni perché potessi tentare il salto verso Università più famose. Ma la Sardegna è sempre stata il posto ideale per perseguire i miei obiettivi scientifici, di ricerca, clinici, didattici e professionali”.
Le è capitato di dire no, grazie?
“A Pisa, negli anni Settanta, con New York prima e Bethesda poi, con la Mayo clinic a Rochester, con la Jolla in California, dove ha lavorato il mio maestro americano S.S. C Yen, con Vancouver in Canada, i rapporti sono stati continui e assidui. Ma non ho mai pensato di trasferirmi”.
Professore, quando va in pensione?
“Il prossimo 1° ottobre 2018”.
Chi sarà il successore?
“La professoressa Anna Maria Paoletti, l’ordinario più anziano. Mentre il corso di studi viene suddivisa fra i vari associati e ordinari, per le linee di ricerche e di assistenza che riguardano l’endocrinologia ginecologica, parto e gravidanza, i tumori, l’endometriosi e la diagnostica ecografica. Il corso di laurea in ostetricia viene gestito dal professor Angioni e la Scuola di specializzazione potrebbe andare al professor Guerriero”.
Cosa lascia in eredità?
“Forze ospedaliere con cui ho vissuto per trent’anni. Figure che hanno acquisito sensibilità e capacità tali da poter affrontare le cose universitarie e ospedaliere. Abbiamo dimostrato che il mix è possibile”.
Diventerà professore emerito?
“Farò la domanda, ho i numeri e i titoli. Ma è l’Accademia che dovrà decidere se la mia figura è ancora utile ”.
Il rettore Maria Del Zompo deve esprimersi?
“Sì. Ma la ritengo una farmacologa illuminata”.
Un’ultima cosa, quale sarà il messaggio di commiato per lo staff?
“Lascio una struttura, un gruppo e una cultura di lavoro che è cresciuta negli ultimi 30 anni in maniera esponenziale. Questo è successo perché abbiamo sempre collaborato. Dirò a tutti di evitare conflitti che possano pregiudicare quel che si è fatto di buono”.
Gian Benedetto Melis ha un rammarico?
“No, sono felice. Anzi, molto felice”