Prof. Gian Benedetto Melis

Ordinario di Ginecologia e Ostetricia • Direttore Dipartimento Chirurgico dell’università di Cagliari • Direttore dipartimento assistenziale integrato azienda ospedaliera universitaria, materno-infantile. Carriera universitaria maturata tra Pisa e Cagliari, ha seguito numerosi stage di specializzazione e formazione in Usa, Canada, Inghilterra, Francia. Direttore della Clinica ostetrica da 25 anni, con millecinquecento / milleottocento parti annui, il Professor Melis ha seguito la nascita di oltre 40mila bambini.
Virus, mutazioni e vaccinazione
Oltre un anno fa, il 31 dicembre del 2019, la Cina comunicava all’Organizzazione Mondiale della Sanità la diffusione di un ‘cluster’ di polmoniti atipiche di origine virale. Nelle settimane successive i ricercatori definiscono la sequenza dell’RNA virale e il virus guadagna un nome: Sars-CoV-2.

DA ALLORA E STATA UN’ESCALATION EMERGENZIALE
La crisi sanitaria assurge i contorni della pandemia (come decretato dall’OMS) e, dopo 15 mesi, il bilancio dei morti per/con Covid-19 sale a 2,6 milioni (dati della Johns Hopkins University al marzo 2021), i laboratori di tutto il mondo fanno a gara per approntare un vaccino.
Le certezze e le incertezze
“Siamo in un periodo in cui abbiamo acquisito delle certezze, ma le incertezze che permangono sono ancora tantissime – spiega il professor Gian Benedetto Melis – sappiamo oramai bene che si tratta di un’epidemia mondiale, che ha provocato milioni di morti, non solo nelle categorie a rischio (anziani e pazienti con patologie pregresse). C’è stata una riduzione dell’età media in relazione ai contagi, ma è incontrovertibile il dato dei decessi tra le persone anziane. Abbiamo perso in un anno ciò che avevamo guadagnato in 10, in termini di durata della vita media. Prima della pandemia, per gli uomini, la soglia era fissata sugli 81 anni. Oggi siamo scesi sotto gli 80. Un fatto epocale che – se messo a confronto col dato relativo alle cause di morte – assume proporzioni anche maggiori.
Se dal numero dei decessi complessivo sottraiamo, ad esempio, quello delle vittime per incidenti stradali, possiamo ugualmente constatare un incremento pari al 60-70% rispetto all’anno precedente”. Dunque, le voci che parlano di inconsistenza della pandemia sono basate sul nulla.
Virus e mutazioni, altra certezza
I virus, in particolare quelli a Rna come i coronavirus, evolvono costantemente attraverso mutazioni del loro genoma. Mutazioni del virus Sars-CoV-2 sono state osservate in tutto il mondo fin dall’inizio della pandemia. Mentre la maggior parte delle mutazioni non ha un impatto significativo, alcune di loro – scrive l’Istituto Superiore di Sanità – possono dare al virus alcune caratteristiche, come ad esempio un vantaggio selettivo rispetto alle altre attraverso una maggiore trasmissibilità, una maggiore patogenicità con forme più severe di malattia o la possibilità di aggirare l’immunità precedentemente acquisita da un individuo o per infezione naturale o per vaccinazione. In questi casi diventano motivo di preoccupazione, e devono essere monitorate con attenzione.
“Alcune mutazioni sono dunque capaci di esercitare un effetto pandemico maggiore con una mortalità addirittura superiore rispetto a quella del primo periodo – aggiunge Gian Benedetto Melis – si tratta ad esempio delle mutazioni denominate geograficamente come ‘inglese, brasiliana, sudafricana’, ma anche altre. La variante inglese sembra tra le prevalenti perché la mutazione è capace di dare al virus una maggiore infettività, che si esprime con una diffusione del contagio più veloce e tra tutte le fasce di età (nelle prima ondata la media era di 65 anni ora è scesa ai 45 anni). Si è anche riscontrata una prevalenza maggiore dell’infezione sintomatica nei bambini: i centri di riferimento pediatrici lavorano per valutare l’iter della malattia”. Dice Melis che “l’evoluzione della malattia ha anche portato a dei cambiamenti nella percentuale di persone che si aggravano e che hanno bisogno del ricovero e della rianimazione (in numero minore, secondo i dati studiati sinora)”.
Cosa si è sbagliato, ma cosa sappiamo adesso
La situazione inedita e la carenza di risorse dei sistemi sanitari sono state alla base di un errore di metodo. Il professor Melis sottolinea le difficoltà iniziali: “L’approccio nei confronti della lotta al virus si è rivelato fallace. All’inizio le linee guida del ministero della Sanità, dell’Istituto Superiore della Sanità e in parte dell’OMS sosteneva la validità dell’osservazione domiciliare delle persone, che avevano contratto la malattia, senza iniziali interventi terapeutici. La filosofia del primo periodo è stata ribaltata: non più ‘osserviamo e non tocchiamo nel primo periodo’, ma ‘affrontiamo subito il problema’. La patologia va curata subito: cortisone, eparina, Remdesivir, ma anche anticorpi monoclonali sono stati un efficace argine terapeutico alla malattia. Così, si sa per certo che si può raggiungere un tasso di risoluzione precoce della patologia, senza arrivare in intensiva, nell’80 % dei casi monitorati”. Il trattamento con farmaci a base di cortisone, i corticosteroidi, è consigliato dalle principali linee guida internazionali per la cura dei soggetti ospedalizzati con malattia Covid-19 severa che necessitano di supplementazione di ossigeno. L’eparina è raccomandata “nella profilassi degli eventi trombo-embolici nel paziente con infezione respiratoria acuta e ridotta mobilità. L’antivirale Remdesivir è considerato un farmaco potenzialmente aggiuntivo, valutato in aggiunta al cortisone.
Anche l’esperienza con gli anticorpi monoclonali (quelli per intenderci somministrati a Donald Trump, insieme all’antivirale e al cortisone).
La sfida della vaccinazione
La velocità con cui si è arrivati all’approvazione di vaccini efficaci contro la Covid-19 è senza precedenti. In precedenza il percorso più rapido era stato quello del vaccino per la parotite che aveva impiegato quattro anni per ottenere l’approvazione. I vaccini anti-Covid sono il punto di arrivo di anni e anni di indagini scientifiche su virus simili responsabili di precedenti epidemie come Sars e Mers. Il fatto di avere a che fare con un virus dalle caratteristiche in parte note ha senza dubbio facilitato il compito degli scienziati, così come le cospicue risorse finanziarie messe a disposizione della ricerca anti Covid .
Quello che ha dato un’ulteriore accelerata è stato l’utilizzo della tecnologia basata sull’Rna messaggero. I vaccini tradizionali contengono proteine virali o forme inattivate del virus stesso che stimolano le difese immunitarie ad agire contro gli attacchi del virus. I vaccini a mRna contro Sars-Cov-2 utilizzano un frammento di Rna messaggero che contiene le informazioni necessarie per produrre la proteina spike del virus, il grimaldello usato dal virus per entrare nell’organismo. Una volta iniettato nel corpo, l’mRNA comunica alle ‘difese’ le informazioni per produrre tante copie della proteina spike che, riconosciute come estranee dal sistema immunitario, inducono l’attivazione delle difese.

Le campagne vaccinali: pochi casi virtuosi
Se la ricerca è andata veloce, meno bene si sono sviluppate le campagne vaccinali, se non in qualche caso virtuoso.
“Possiamo citare Israele che in poche settimane ha vaccinato oltre il 70 percento della popolazione – sottolinea il professor Melis – discorso simile può essere fatto per il Regno Unito, che per garantire nell’immediato una copertura più capillare ha allungato i tempi tra la prima e la seconda dose di vaccino Pfizer, ottenendo buoni risultati. Ma è Israele il Paese che ha affrontato la congiuntura in maniera più convincente: oltre ad aver tracciato meglio, come è avvenuto in Corea, a Taiwan e in Cina, ha avviato una tempestiva campagna vaccinale. In Cina i vaccini sono stati utilizzati assai più precocemente perché sperimentati, in prima battuta e su larga scala, su militari e forze dell’ordine; un iter che va contro tutte le norme sanitarie, che prevedono procedure di sperimentazione più stringenti. I problemi di disponibilità e legati alla distribuzione dei vaccini, oltre che i loro costi, sono altre variabili in grado di condizionare la buona riuscita delle campagne vaccinali”.
Cosa aspettarci
A rendere lo scenario cangiante sono le varianti del virus: l’elemento di forza dell’agente patogeno in grado di selezionare il ceppo più aggressivo (a cui però non si lega in maniera direttamente proporzionale la capacità di sfociare in una malattia grave), che resta tuttavia esposto anche a mutazioni che possono renderne sporadica la diffusione. “Per fare ipotesi – dice Gian Benedetto Melis – dovremmo fugare ogni dubbio sull’origine del virus. Se, come dice l’OMS, si tratta di un virus naturale e non creato in laboratorio, c’è la buona possibilità che l’epidemia regredisca e che non diventi endemica, anche grazie all’enorme sforzo messo in campo dalla comunità scientifica mondiale.