Curare chi non guarisce
Dott. Alfredo Camera

Medico chirurgo, Specialista in Neurologia, Specialista in Psichiatria, Specialista in Psicoterapia.
Psicoterapeuta sistemico- relazionale, gruppoanalista, psicodrammatista psicoanalitico. Già psichiatra del servizio pubblico, attualmente opera come libero professionista psichiatra e psicoterapeuta individuale, di coppia, di famiglia e di gruppo. Docente di Psicoterapia Sistemico-Relazionale e di Psicodramma Psicoanalitico presso scuole di specializzazione.
La battaglia contro il danno della integrità
Curare e guarire sono due definizioni legate da un antichissimo rapporto,che appare naturalmente fondato e persistente nel tempo,nonostante alcune esperienze ci dicano che questa coppia non sempre è una coppia armonica, non sempre celebra il suo successo e addirittura in certi casi genera un conflitto che suggerirebbe una separazione. L’accoppiamento tra cura e guarigione nasce e tuttora permane principalmente nell’ambito medico, ma si è esteso anche ad altri ambiti, dalla sociologia alla politica, alla ingegneria, alla archeologia. Il contesto di origine di questo accoppiamento è appunto quello della malattia, del danno del corpo, dove si verifica una alterazione dell’organismo che causa malfunzionamento, sofferenza, rischio di morte.Ferita, malattia, danno che lede quella che viene definita l’integrità del corpo vivente, su cui bisogna intervenire con una cura che mira alla guarigione, cioè a ricostituire la primitiva integrità. E infatti il motto classico che definiva la finalità della cura era proprio la” restitutio ad integrum”. Questo fine è stato da sempre l’obbiettivo fondamentale del medico curante, cui veniva assegnato il compito di ingaggiare una vera e propria battaglia contro il danno della integrità, che si trattasse di una ferita, di una febbre, di un tumore o di una follia. Battaglia che spesso diventa una vera e propria guerra protratta in cui il medico vede la malattia come il proprio personale nemico da sconfiggere, da eliminare e la guarigione rappresenta la vittoria personale, spesso trionfale, del medico.
La trattativa diplomatica tra medico e malattia
In questa dinamica ovviamente il paziente con il suo corpo ma anche con la sua mente, con tutta la sua esistenza, diventa inevitabilmente il terreno su cui si combatte la guerra tra medico e malattia. Certamente dobbiamo riconoscere che questa impostazione della cura, intanto emergente dai meccanismi naturali di difesa, ha generato tutti i successi che la medicina ha conseguito e che queste battaglie vittoriose hanno consentito vita e salute in un crescendo continuo. Nel contempo non possiamo non considerare che talvolta questa guerra tra medico e malattia possa per certi versi trascurare il territorio dove essa avviene, cioè il malato, e che in qualche caso il malato possa subire le conseguenze oltre che della malattia anche della cura come guerra. Inoltre sia nel passato che nel presente esistono situazioni patologiche dove la guarigione, la restitutio ad integrum non è possibile e quindi la cura deve prendere un’altra configurazione e un’altra direzione. Da guerra per ottenere la vittoria della guarigione la cura si deve trasformare in una attività che potremmo chiamare di trattativa diplomatica tra medico e malattia, con una serie di accorgimenti che mirano a ridurre i danni su quel terreno di confronto che è la vita quotidiana del paziente. È questa la situazione di moltissime malattie che definiamo malattie croniche, verso le quali al momento non abbiamo l’arma vincente, e dove la cura si deve organizzare come una strategia complessa con tattiche di intervento di diversa natura su diversi contesti. Malattie dove l’intervento classico correttivo farmacologico o chirurgico non è sufficiente o addirittura non indicato, e dove la cura deve andare al di la della anatomia e della fisiologia del corpo e muoversi in quel territorio della vita che possiamo chiamare esistenza, cioè presenza nel mondo come corpo, come mente e come relazioni. E in questo contesto molto più ampio del somatico, primario territorio della medicina, la cura si deve rivolgere a tutti quei fattori che determinano la qualità di vita del paziente, dall’ambito delle relazioni familiari a quello lavorativo, da quello degli interessi culturali a quello delle evasioni giocose. E talvolta, con questo approccio multidimensionale di cura, ci troviamo di fronte ad un vero e proprio paradosso per cui la qualità di vita del malato cronico risulta migliore di quella antecedente alla malattia. Potremmo quindi affermare che la cura, come scienza e come arte, è molto di più di una battaglia per la guarigione di un male, ma un approccio relazionale complesso e sofisticato alla totalità di vita del paziente.