Il disturbo da deficit di attenzione – iperattività, o ADHD
Prof. Alessandro Zuddas

Prof. Alessandro Zuddas
Neuropsichiatra • Primario della Clinica di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza dell’Ospedale Pediatrico Microcitemico “Antonio Cao” di Cagliari
I genitori spesso si trovano impreparati
nella gestione del comportamento “difficile” di un figlio
Crescere figli significa affrontare e risolvere problemi. Non avviene mai attraverso leggi e modelli tutti uguali. A volte, per non perdere la sfida, è necessario rivolgersi a uno specialista. Non sempre infatti la famiglia ha la giusta ‘cassetta degli attrezzi’. Nel caso di un bambino con disturbo da deficit di attenzione/iperattività, o ADHD, i genitori spesso si trovano impreparati nella gestione del comportamento ‘difficile’ di un figlio. La domanda, infarcita di ansia, è nota: dove ho sbagliato? Forse, la risposta è meno immediata: lo sbaglio è considerare l’ADHD una normale fase della crescita o il risultato di una disciplina educativa inefficace.
Il professor Alessandro Zuddas, elenca le caratteristiche di un problema, che genera stress e sconforto in genitori e insegnanti: “Il bambino con disturbo evolutivo dell’attenzione e dell’autocontrollo ha difficoltà a selezionare gli stimoli, nel senso che cerca di rispondere a tutti senza riuscire a selezionare di volta in volta le risposte più adeguate: ciò che gli adulti percepiscono è che non controlla i suoi impulsi, non segue le regole, è impertinente”.
Pescando invece nell’elenco dei luoghi comuni, utilizzati per trovare ragioni al comportamento irrequieto, ci sono anche tutte le premesse all’azione fallace dei genitori: il bambino è cattivo e bisogna rimproverarlo a lungo; sono necessarie maggiore disciplina e qualche punizione esemplare; il padre e la madre sono eccessivamente tolleranti.
“In realtà, i bambini con deficit di attenzione/iperattività hanno una diversa percezione del tempo e – spiega professor Zuddas – non riescono a regolare il proprio comportamento in funzione del suo trascorrere e degli obiettivi da raggiungere”. Se il problema non viene affrontato in maniera adeguata, i bambini con ADHD vanno incontro a enormi frustrazioni: problemi di socializzazione, bassa autostima, depressioni e, una volta adulti, devianze. Sulla base della gravità del caso, lo specialista può disporre un intervento combinato: un percorso educativo, da suggerire ai genitori, e una terapia farmacologica. Da sfatare il pregiudizio che impone di non somministrare mai farmaci ai piccoli pazienti. Dopo diagnosi accurata e prescrizione medica, l’utilizzo di alcuni farmaci, come metilfenidato e, in misura diversa l’atomoxetina, garantisce benefici immediati e non provoca dipendenza. La cura farmacologica ha dei limiti: “Il farmaco – avverte il professor Alessandro Zuddas – è “stupido”, non insegna niente, e agisce solo quando viene assunto. Consente però alla famiglia di avere un supporto durante il percorso educativo da intraprendere col bambino. Quando usati in maniera appropriata tali farmaci permettono di aumentare la capacità del bambino nel selezionare gli stimoli, diminuendo la sua fatica nell’affrontare compiti che percepisce come troppo lunghi e noiosi.” Ciò aiuta il bambino ad acquisire nuove abilità, che gli permettono di affrontare meglio le sfide quotidiane. Un’immagine può servire da esempio: le rotelle di una bici per piccoli, aspiranti ciclisti. Una volta imparato a pedalare, le rotelle spariscono. La precisazione, mai inutile, è che l’intervento – sia educativo che farmacologico – deve svilupparsi sotto rigoroso controllo medico.
“L’obiettivo è quello di insegnare
e di guidare il bimbo alla conquista di piccole, grandi abilità”
“Si tratta di un disturbo che non va a regredire; al contrario, si migliora con un intervento mirato. Ogni bambino è unico e la sintomatologia si presenta con diversi livelli di gravità”. Lo staff della dottoressa Azzurra Salvago mette in campo interventi individuali e di gruppo. Con un comune denominatore: “L’obiettivo è quello di insegnare e di guidare il bimbo alla conquista di piccole, grandi abilità”. Dal salutare con la mano al rispondere alle domande, dal lavarsi le mani al vestirsi da solo. Ogni progresso, anche il più piccolo, deve essere perseguito con la partecipazione attiva della famiglia, della scuola e di tutte le figure che ruotano attorno al bambino. Attraverso il “parent training”, attività di formazione che coinvolge la famiglia, si punta al miglioramento della relazione e della comunicazione tra genitori e figli. Non solo: negli incontri vengono presentate le diverse strategie educative e i genitori possono esercitarsi nell’applicazione dei metodi appresi con il supporto del professionista e con l’assegnazione dei “compiti a casa”, relativi alle specifiche abilità. Gli interventi abilitativi e riabilitativi, che hanno maggiore successo, sono quelli basati sui principi dell’A.B.A (Applied Behavior Analysis), che si fondano su solide evidenze scientifiche. Questi interventi sono efficaci per l’insegnamento delle abilità adattive (linguaggio, comunicazione, gioco, socializzazione, autonomie personali, abilitá accademiche) e per la riduzione dei comportamenti problema (aggressivitá, autostimolazioni, autolesionismo).