Cosa vuole una donna?
Dott. Alfredo Camera

Alfredo Camera, Medico chirurgo, Specialista in Neurologia, Specialista in Psichiatria, Specialista in Psicoterapia. Psicoterapeuta sistemico-relazionale, gruppoanalista, psicodrammatista psicoanalitico. Già psichiatra del servizio pubblico, attualmente opera come libero professionista psichiatra e psicoterapeuta individuale, di coppia, di famiglia e di gruppo. Docente di Psicoterapia Sistemico-Relazionale e di Psicodramma Psicoanalitico presso scuole di specializzazione.
Cosa vuole una donna?
Questa frase, che è stata espressa in modalità ironicamente provocatoria da Freud, sottende un quesito importante e fondamentale che il padre della Psicoanalisi si poneva e poneva al mondo della scienza e della cultura.
La donna, la figura femminile è stata centrale fin dall’esordio della Psicoanalisi, in quanto proprio dalla cura delle prime pazienti donne, Freud cominciò a costruire la sua teoria dell’inconscio e le procedure della clinica psicoanalitica, e ripetutamente nei suoi lavori è ritornato sul tema della identità femminile. Alla famosa domanda, da lui stesso formulata, Freud confessò di non avere una risposta, definisce la femminilità un “enigma” e la donna il “continente nero”, non certo in senso dispregiativo, ma alludendo alla complessità inesplorata del mondo femminile. E tale domanda, possiamo dire, ancora oggi ha una pregnante attualità e ancora oggi non trova una risposta soddisfacente e esaustiva né dall’ambito scientifico psicologico né da quello culturale e sociale in senso lato. Una carenza di risposta nonostante negli ultimi decenni in maniera incisiva, e spesso eclatante e rivendicativa, sia stata portata alla attenzione della cultura e della politica quella che potremmo definire la questione del femminile.
Possiamo ipotizzare che la ragion d’essere della domanda che ancora non trova una risposta si trovi in una storica duplice ragione: una ragione che ha il suo fondamento nella stessa natura biologica del femminile e una ragione correlata alla storia dell’ordinamento sociale del ruolo femminile rispetto al ruolo maschile.La donna, per mandato biologico, ha un ruolo primario e fondamentale nella procreazione, attraverso la gravidanza e l’accudimento primario della prole, e questo compito è stato e tuttora permane come un ruolo identitario determinante. Quindi sia la natura che la società predeterminava una sorta di destino della donna verso la maternità, generando peraltro una sorta di implicita prescrizione paradossale, per cui la donna aveva il dovere di volere essere una madre, e questo dovere doveva essere l’obbiettivo principale del suo volere. Ma nel contempo la donna storicamente ha avuto un altro compito, un altro dovere, e cioè quello di essere una immagine attraente, una vera e propria icona della bellezza, a cominciare dalle fattezze del corpo per completarsi nell’arredo del suo corpo, con l’abbigliamento e la cosmesi, e con l’eleganza e la grazia del suo comportamento.
Due ruoli sociali che sono stati dei veri e propri compiti esistenziali, prescrizioni inderogabili di identità, cui la donna non solo doveva adeguarsi, ma doveva far diventare un proprio desiderio e un proprio volere.
Per avere una vita buona e piena nel mondo la donna doveva essere sia una bella femmina che una buona madre.
Le altre modalità espressive della esistenza quali l’intellettualità, l’arte, la scienza e la politica, rimanevano territori pressoché esclusivi del maschile, cui la donna poteva accedere in maniera limitata ed eccezionale, come in una sorta di trasgressione dei compiti fondamentali, in qualche caso accolta con curiosità e ammirazione, ma più spesso repressa e condannata.
Questa presenza storica del femminile per molti aspetti ha fatto della donna un oggetto, nella accezione psicodinamica del termine : un oggetto del desiderio e del potere maschile, un oggetto cercato a colmare la mancanza fondamentale del maschile rispetto alla generazione. E questa, che possiamo definire “oggettualità storica” della donna, che ha disegnato e governato l’identità manifesta del femminile, ha occultato e relegato in luoghi profondi e oscuri la soggettualità singolare del femminile, come desiderio e come volere, generando appunto quell’enigma e quel continente nero di cui parlava Freud. Se si vuole quindi dedicare una attenzione al benessere femminile, al di la di una semplicistica definizione di benessere come buona salute, bisognerebbe raggiungere una conoscenza ancora più ampia e più profonda di quello che è “ l’essere donna” per poter configurare una definizione di cosa sia “l’essere bene una donna”. Ma questa conoscenza, contemporaneamente necessaria e attraente, ci riporta a dover fare una esplorazione di quel continente nero e di quell’’enigma di cui parla Freud, ci riporta a quella inesauribilità della definizione del femminile, bene espressa da un altro grande psicoanalista che è Lacan, il quale condensa tutto il suo lavoro di ricerca sul femminile nella famosa frase che non risolve, ma ripropone l’enigma, che dice “la donna è non tutta”.