La moderna concezione della protesizzazione dell’anca

Dott. Piernicola Dimopoulos

La chirurgia protesica ed il mondo che cambia: un matrimonio difficile

Fino a circa 20 anni fa, l’obiettivo primario di una PTA era la realizzazione di un impianto stabile che ripristinasse al meglio la generica funzione dell’articolazione e dell’arto, in assenza di dolore. I pazienti, giunti sul tavolo operatorio spesso in condizioni precarie, erano altamente soddisfatti del conseguimento di tale obiettivo, in sintonia con la classe medica, che si preoccupava, anche a livello di ricerca, di migliorare le prospettive di longevità dell’impianto attraverso la ricerca sui biomateriali.
Ma il mondo, e con esso la vita delle persone, hanno subito negli ultimi venti anni un vero stravolgimento. Così, a ragione od a torto, ma queste considerazioni ci porterebbero fuori tema, il livello di attenzione per il proprio corpo, e con esso le aspettative del paziente protesizzato, si sono notevolmente sviluppati in senso accrescitivo. L’accettazione della deformità e della menomazione in generale, non è più ammissibile; la senescenza con il progressivo decadimento del corpo e delle sue funzioni, un male da tenere lontano. Il paziente moderno, tendenzialmente, vuole ( dico “vuole” ) TUTTO e SUBITO, complice una NON informazione dilagante che fa da sponda al malessere della nostra società, con una facile focalizzazione sul piano fisico delle nevrosi dell’individuo. Non è una rivoluzione, si tratta di un processo che gradualmente, ma con crescita esponenziale, si è sviluppato all’inizio degli anni novanta, che hanno corrisposto, insieme alla delusione del delirio di onnipotenza degli anni 80, allo sviluppo ed espansione della Rete, favorendo modalità di comunicazione fino a quel momento inimmaginabili, con una autonomizzazione del messaggio rispetto alle fonti storicamente accreditate, le quali hanno progressivamente perduto il controllo dell’informazione scientifica sostituita dal “passa parola” mediatico, fino ai giorni nostri, caratterizzati da un flusso di informazioni in rete provenienti da fonti scientificamente non accreditate pari al 34%. All’inizio degli anni 2000 Hardinge ha esplorato i benefici provenienti dalla realizzazione di mini-incisioni ( 400 casi dal 2000 al 2003 ), non ottenendo significativi vantaggi in termini di decorso post-operatorio. Successivamente Berger ha concepito un doppio accesso ( 154 casi trattati tra il 2003 ed il 2004 ) con significativi vantaggi nel decorso post-operatorio. Tale metodica, però risultava estremamente complessa e delicata, con un’alta incidenza di complicanze intraoperatorie rappresentate spt dalle fratture femorali, tali da impedirne la diffusione su larga scala. Si era comunque capito che la differenza clinica non sarebbe scaturita dalla ridotta incisione, ma dal risparmio tissutale.
Si è così sviluppata, grazie anche all’ingegno di alcuni chirurghi, la ricerca di vie sempre meno aggressive all’articolazione, modificando quelle esistenti, grazie anche all’evoluzione degli strumentari chirurgici che permettevano tutto ciò. Così oggi è possibile realizzare una protesi d’anca per via postero-laterale con la sola disinserzione del tendine congiunto che viene reinserito a fine intervento; o per via laterale con una parziale disinserzione glutea per via sottoperiostea che ne rende agevole la reinserzione a fine intervento, o per via anteriore attraverso un piano anatomico interamente intermuscolare ed internervoso. Ancora: la sempre minore invasività degli impianti e le proprietà meccaniche e biologiche dei materiali all’interfaccia osso-impianto ( Titanio; Tantalio poroso; idrossiapatite etc ) hanno incrementato le potenzialità di stabilità primaria degli impianti attraverso il miglioramento del “grip” unitamente alla accresciuta potenzialità osteoinduttiva ed osteoconduttiva, tanto da poterli paragonare nel loro impiego pratico, nella chirurgia di revisione, quasi ad analoghi dell’osso, e come tali utilizzarli nel riempimento di difetti ossei strutturali. Anche la storica problematica dell’usura all’interfaccia articolare femore-acetabolo, con i moderni polietileni altamente reticolati ed addizionati di vitamina ”E” a scopo antiossidante, unitamente alle ceramiche di ultima generazione, hanno se non risolto del tutto, drasticamente ridimensionato il ruolo dell’usura nel determinare la sopravvivenza dell’impianto. Tutto questo dovrebbe appagare e rendere felici dei risultati ottenuti sia i pazienti che i chirurghi. Ma non è così: per quanto affermato all’inizio della nostra trattazione. Infatti, per garantire sia la performance che la longevità dell’impianto sono necessarie altre due condizioni che aprono lo scenario ad un modo nuovo, complesso ed affascinate di concepire la protesica dell’anca. Si tratta della necessità di comprendere il meccanismo patogenetico che ha portato l’articolazione a “fallire” e correggerlo per evitare di trasferire sulla protesi le stesse dinamiche che potrebbero essere responsabili di un fallimento precoce della stessa. Inoltre, tale correzione dovrebbe essere realizzata attraverso il ripristino dei parametri morfometrici dell’anca nativa, differenti da individuo a individuo, con importanti problematiche da risolvere la dove , come nella displasia congenita, tale anca non è mai esistita(!!!). A tali acquisizioni hanno contribuito in maniera determinante le osservazioni del Prof. Reinold Ganz, che nei suoi studi mirati al trattamento conservativo della patologia dell’anca, aprendo le porte al trattamento artroscopico precoce di patologie degenerative su base anatomica-meccanica, ha consentito una migliore comprensione dei fenomeni patogenetici responsabili di tante forme di coxartrosi. Applicare tali principi costituisce un modo complesso, ma anche completo ed affascinante, ragionato, di “costruire “la protesi dell’anca. Il ricorso all’utilizzo di varie opzioni protesiche, con differenti caratteristiche di design in base alla qualità dell’osso, alla morfometria, alla patologia da correggere, è una condizione necessaria, abbinata alla cultura, all’esperienza ed alla sensibilità del singolo chirurgo. Quanto esposto, spiega a mio giudizio, perché ancora oggi, nel XXI secolo, la protesi dell’anca, pur nell’estrema complessità culturale, tecnica, tecnologica e pratica, rimane un intervento “romantico” dove con questo termine non si vuole sminuirne il rigore e la scientificità, ma piuttosto evidenziarne la possibilità ( se non la necessità) di attingere alle più nobili qualità dell’essere umano che ancora sono ben lontane dall’essere eguagliate dalla più complessa ed evoluta tecnologia.

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Dott. Piernicola Dimopoulos

Specialista in Ortopedia e Traumatologia

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