Quando il diabete fa perdere la testa
Dott. Luciano Carboni
Diabetologo

Dott. Luciano Carboni
Medico, laureato e specializzato a Cagliari, diabetologo ha ricoperto ruoli significativi nella diabetologia regionale e nazionale e rappresentato l’Italia nel General Committee del DESG (Diabetes Education Study Group dell’EASD)
Quando il diabete fa perdere la testa – Il diabete di tipo 3
Pensarci per tempo è compito di una diabetologia moderna e orientata alla prevenzione.
Il cervello !
Ce ne ricordiamo solo quando qualcosa non va.
Eppure lui è lì, sovrintende a tutto quello che siamo e che facciamo: ha i suoi ritmi, le sue abitudini, risponde agli stimoli più disparati… crea… comanda… si adegua… tollera… dispone… sente…
A pensarci un po’, intuiamo che vive di una vita propria, ma al massimo pensiamo che abbia bisogno di un buon flusso di sangue, e tutto si ferma lì.
E’ necessario superare questa visione meramente idraulica, in sè semplicistica, che non tiene conto di una situazione decisamente più complessa: tutta la gamma di disturbi cognitivi, fino alle espressioni più eclatanti dell’Alzheimer, riconoscono una partecipazione ‘metabolica’ del tessuto cerebrale, in cui l’insulina gioca un ruolo da protagonista.
Vediamo di ‘metterci il naso’, timidamente, più per aprire una finestra di riflessione che per fornire una scientificità approfondita che non potrebbe trovare spazio su una piccola pagina come questa.
E partiamo dalla considerazione che il cervello ‘vive’ una vita propria, una sua situazione di isolamento ‘aristocratico’, determinato dall’esistenza di un confine fisico – la cosiddetta “barriera emato-encefalica” (BBB) – che filtra ciò che deve e che può attraversarla.
Così il cervello è in grado di selezionare, e puó anche tentare di difendersi, per esempio dalle iperglicemie e dalle ipoglicemie. Impedisce il passaggio dell’eccesso di acidi grassi (NEFA) circolanti – epifenomeno del sovrappeso e dell’obesità ipertrofiche, specie addominali – responsabili dell’insulinoresistenza e del conseguente eccesso di produzione di insulina.
Invece l’insulina, anche quando in eccesso, supera liberamente la BBB, e così ‘inonda’ il tessuto cerebrale.
A fronte di questa “inondazione”, le cellule cerebrali riducono (down regulation) numero e affinità dei recettori per l’insulina, e ne vengono così ridotti gli effetti su attività strutturali e funzionali e anche specifiche per il controllo della memoria, del pensiero e del comportamento.
In tutto ciò si inserisce una scoperta illuminante: il cervello produce una sua insulina!, come se esistesse una sorta di “pancreas cerebrale” con una sede specifica non nota o sotto forma di “pancreas diffuso”.
Tutto ciò permette una visione unitaria del contributo metabolico all’evoluzione del deficit cognitivo e della demenza correlate al diabete di tipo 2, quanto alle varie forme di insulino resistenza che lo precedono e accompagnano.
Perché dobbiamo trovare una ragione, che apra la via alla possibilità di prevenzione, a l fatto che :
*c’è più demenza in chi ha diabete, significativamente di più, *il diabete predice l’insorgenza del deficit delle funzioni cerebrali, *il decadimento cognitivo nel diabete è più accelerato che in assenza di diabete, *il diabete determina una più veloce compromissione dei parametri funzionali, *non solo nel diabete franco, ma anche negli ‘atteggiamenti‘ metabolici che lo precedono, c’è questo decadimento precoce e più rapido.
L’insulinoresistenza presente in obesità, steatosi non alcoolica e varie forme di alterata tolleranza glucidica, fino al diabete di tipo 2, determinano da una parte (in periferia) l’iperinsulinemia compensatoria, e dall’altra (a livello cerebrale) le conseguenti invasione insulinica e down-regulation, che costringono il ‘pancreas cerebrale’ a produrre più insulina in un tentativo vanamente compensatorio.
E comunque,
finchè il ‘pancreas cerebrale’ ce la fa, è ok !!!
Ma può non farcela, perché ‘si stanca’ se non è geneticamente pronto …e così viene ulteriormente a ridursi l’efficacia insulinica sia strutturale che funzionale.
…e comunque, finchè il ‘pancreas cerebrale’ ce la fa, è ok !!!
Ma può non farcela se sottoposto ad aggressioni plurime e/o differenziate… immunologiche o ambientali…
Esistono per esempio suggestive ipotesi sul ruolo delle nitrosamine (conservanti alimentari, tabacco, etc.) derivate dalla somiglianza strutturale fra esse e la streptozotocina (SZT). Quest’ultima, liberata nel liquor cerebrale, produce un progressivo deficit in apprendimento e memoria, oltre a anormalità istopatologiche, biochimiche, neurodegenerative del tutto sovrapponibili a quelle dell’ Alzheimer.
La SZT è sostanza che viene utilizzata per indurre diabete sperimentale negli animali, poiché viene captata dalle cellule del pancreas che producono insulina. Determina danni del DNA e morte.
Analogo effetto potrebbero giocare le nitrosamine a livello cerebrale, a configurare – specie nelle forme a rapida e precoce insorgenza – una insulinopenia endocerebrale a somiglianza di come, nel diabete di tipo 1, succede al pancreas – quello ‘vero’, addominale.
Insulinoresistenza di origine periferica (come nel diabete tipo 2) + carenza insulinica da ridotta funzione del ‘pancreas cerebrale’ (come nel diabete tipo 1) risultano in una forma di diabete cerebrale (tipo 2 + tipo 1) – che oggi tenta di prendere il nome di diabete di tipo 3 !!! – che può vedere isolati o accomunare entrambi i fattori patogenetici.
Ma cosa succede alle cellule del cervello, i neuroni, in queste condizioni?
I neuroni sani hanno uno scheletro formato da microtubuli composti da una proteina detta tau. Il difetto di efficienza insulinica modifica la tau e ciò causa l’appaiamento di più unità, che finiscono per creare ‘grovigli neurofibrillari’ che preludono alla morte cellulare.
Il difetto di efficienza insulinica favorisce inoltre la formazione delle placche di beta amiloide, caratteristiche della malattia di Alzheimer. Sono formate da aggregati di proteine che in parte derivano dalla non degradazione da parte di un enzima (α-secretasi) che ha bisogno dell’insulina per essere attivato. Questo eccesso di amiloide occupa per affinità anche i recettori insulinici contribuendo così a ridurre ulteriormente il numero di recettori disponibili. E se questo non bastasse, la beta amiloide e l’insulina competono per la loro degradazione con lo stesso enzima (insulinasi). Ne deriva un contributo all’iperinsulinemia e/o alla ulteriore deposizione di beta-amiloide.
Se le cose stanno così, la demenza apre a interpretazioni metaboliche e così a una ‘manutenzione del cervello’ che ha bisogno anche di diabetologi e metabolisti. E che ha bisogno di iniziare prima che i problemi comincino a farsi evidenti. Una manutenzione che – come spesso nel metabolismo – ‘parte dalla pancia’, spalancando le porte a quelle forme di prevenzione che si avvalgano del *recupero di strategie di vita più vicine a quello per cui la genetica ci ha preparato, *attività fisica e mantenimento di un peso metabolicamente ad hoc! *alimentazione adeguata e priva di ‘contaminanti’ e *perché no, anche farmaci.
Qualche strumento di diagnosi e valutazione è apparso all’orizzonte e potrebbe a breve essere disponibile per dirimere dubbi e affiancarci nella pratica.