Diabete e educ…azioni terapeutiche
Dott. Luciano Carboni
Diabetologo

Dott. Luciano Carboni
Medico, laureato e specializzato a Cagliari, diabetologo ha ricoperto ruoli significativi nella diabetologia regionale e nazionale e rappresentato l’Italia nel General Committee del DESG (Diabetes Education Study Group dell’EASD)
Il diabete può essere ben curato e possono essere evitate le tante insidie che esso comporta…
…a una condizione!, recita testualmente la St Vincent declaration: “None of the aims will be achieved unless effective educational programmes are developed at all levels of care…” e nessuno degli obiettivi può essere raggiunto senza la partecipazione condivisa alla cura da parte di chi ha diabete e dei suoi curanti! Sembra essere l’epilogo di una storia iniziata in Italia negli anni ’70 da alcuni pionieri (Sergio Marigo, Andrea D’Agostino, Aldo Maldonato, Valerio Miselli) sulle tracce del processo avviato in Europa dal diabetologo ginevrino Jean-Philippe Assal , padre fondatore dell’Educazione Terapeutica e di tutti i gruppi educativi nazionali europei.
Scrivevo sulle pagine de L’Unione Sarda del 13 febbraio 1986: “…siamo tutti pronti, operatori sanitari e diabetici, al diverso embricarsi dei ruoli reciproci che un approccio educativo alla cura comporta?” Cosa vuol dire ‘educazione’ nella cura? Quando ci rifletti significa innanzitutto andare oltre il biomedico (oltre vuol dire in primis assicurarlo!). Per promuovere autonomia. Non basta la prescrizione di buone pastiglie e/o insuline. E’ necessario che chi ha diabete impari e chi è medico o operatore di diabetologia insegni. E, soprattutto, impari anche lui! Perchè non si tratta solo di proporre/acquisire nozioni e comportamenti che possano favorire la completa autonomia. Si tratta di imparare che autonomia è un continuo equilibrio instabile fra momenti di ‘anarchia’ partecipativa (che aumentano le responsabilità del curante quanto più a lungo si protraggono) e momenti di rinnovata dipendenza a cui diabetologo e struttura devono essere pronti a far fronte. Nel momento in cui serve! E chi il diabete lo ha? Ha bisogno di sentirsi accolto anche nei suoi momenti anarchici e ‘raccolto’ se essi si protraggono oltre i limiti di una legittima ‘vacanza’ dal diabete. E ancora ha bisogno di trovare la forza di chiedere aiuto quando ‘da solo non ce la fa’.
Queste le azioni dell’accompagnamento che una malattia cronica come il diabete comporta. E dell’insegnamento che ne è alla base. Non è facile questo percorso. L’Università non lo insegna. Ti fa medico con potere di cura e ti ritrovi Medico con il difficilissimo ruolo di accompagnatore di una persona che non ha scelto di sapere ‘le cose del diabete’ ma che dovrebbe avere l’interesse a conoscere quello che a lui serve per ‘prendersi in cura’. E così ti ritrovi insegnante. Dove si impara ad accompagnare? E dove a insegnare? Non basta stare dietro una cattedra, nè blaterare di educazione da un podio. Non basta proporsi educativamente da dietro una scrivania. Forse è necessario scendere dalla propria torre d’avorio e calarsi nella vita reale vivendo insieme al proprio ‘paziente’ esperienze di reciproca valenza educativa. Ecco il senso di tanti campi scuola lontani dall’ospedale. Tanti i ‘campi’nei miei oltre 40 anni di diabetologia, con bambini, con adolescenti, con adulti anche in coppie, con Medici di Medicina Generale, con qualche diabetologo. Una filosofia: You tell me, I forget – You teach me, I remember – You involve me, I learn e un metodo (importato dalla scuola di Ginevra di Jean-Philippe Assal) capace di generare ‘atmosfere magiche’ non ospedaliere.
Un insieme di azioni, sensazioni e relazioni intorno a un filo conduttore metaforico capace di dare spazio e senso alle parole. Difficile dire il come e il raccontare la potenza dello sforzo di dare razionalità all’emozione ed emozione alla razionalità e del favorire che ogni partecipante potesse essere e sentirsi protagonista. Adulto o bambino che fosse. Certo, costruire un campo di 4 o 9 giorni, residenziale, è impegnativo. Nella progettazione e nella realizzazione. Ma così ricco di significato e di risultati che affido a queste poche righe lo stimolo affinchè possa esservi un seguito istituzionale.
E cerco curiosità e aiuto anche in te, lettore occasionale. Così come vorrei che avesse seguito istituzionale la ‘scuola per pazienti’, nata nei centri di diabetologia che ho diretto nella ASL 8 di Cagliari (SS.Trinità e Binaghi) che, in un’aula multimediale estemporaneamente costruita, prima, e dedicata poi, accoglieva 14 diversi corsi di istruzione mensili – a tema definito – svolti da molti degli operatori, medici e non, della struttura. E aggiungerei i corsi di arte-terapia! E il Teatro del Vissuto! Quando ne parliamo con i partecipanti di allora i ricordi riaffiorano vividi e unificanti, molte testimonianze affascinano, le energie riaffiorano e i loro occhi si illuminano. Poi le pieghe del viso danno spazio al rammarico di oggi : tutte queste attività si sono progressivamente spente nell’area diabetologica istituzionale. Non si capisce il perché! Sono forse cambiate le esigenze? Direi di no e anzi, a distanza di 35 anni, mi sento di rinnovare la domanda : “…siamo tutti pronti, operatori sanitari e diabetici, al diverso embricarsi dei ruoli reciproci che un approccio educativo alla cura comporta?”. Ricordi? : “None of the aims will be achieved unless effective educational programmes are developed at all levels of care…”